La pietà di L'Aquila

Fede e Devozione, Turismo Spirituale


La pietà di L'Aquila

Il gruppo scultoreo della pietà, proveniente dalla cappella manieri della chiesa di San Marco Evangelista in L’Aquila, raffigura uno dei momenti più toccanti della passione: quello in cui il corpo esanime di Cristo viene restituito alla madre che - quasi a cullarlo un’ultima volta - lo tiene sul suo grembo, prendendo coscienza definitiva della morte del figlio. All’Aquila era attiva una confraternita intitolata alla pietà, che operava in spazi contigui alla cattedrale, di cui la pietà era emblema.

La scultura rinuncia alla possibilità di mimesi naturalistica offerte dalla policromia per cercare, invece l’astratta preziosità di una totale copertura foglia oro su bollo rosso, giungendo a simulare la consistenza materiale di un’ipertrofica oreficeria sacra.

Il gruppo è appoggiato su un muretto: la scabrosità delle pietre che lo compongono è stata resa dallo scultore facendo aderire sul legno - prima della doratura - dei granelli di ghiaia, raggiungendo un efficace effetto tattile.

Il corpo di Cristo è riverso sulla madre, con la bocca dischiusa e le chiome scompigliate; Maria ha lo sguardo nel vuoto: il ricchissimo panneggio scheggiato della sua veste damascata, latore di dinamici sbattimenti di luce, diviene così principale strumento di intensificazione espressiva e patetica.

Le fonti antiche assegnano la scultura a Pompeo Cesura (L’Aquila, 1510 circa - Roma 1571), noto pittore e scultore aquilano, profondamente influenzato dal linguaggio tardo raffaellesco.

La scultura, coinvolta negli estesi crolli che hanno interessato la chiesa di San Marco al momento del sisma del 6 aprile 2009, ha allora subito il distacco violento di alcune parti, ora ricomposta in sede di restauro, ma anche la perdita irrimediabile dell’avambraccio sinistro della vergine del Cristo: se il recupero di un pezzo importante di arte aquilana è un indubbio simbolo di riscatto dalle rovine incerte dal terremoto, le lacune che ormai connotano quest’opera costituiranno un monito sempre valido sulla fragilità del nostro patrimonio culturale.


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