Devozione popolare, santuario, pellegrinaggio

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Devozione popolare, santuario, pellegrinaggio

Riportiamo alcuni spunti di p. Emilio Maria Bedont OSM, recentemente scomparso.

Ogni volta che sento parlare di fede e devozione popolare come la parente povera della fede pura, mi si stampa davanti agli occhi la prima parte della parabola del figliol prodigo ora riportata. La corda, la fede, che lega il padre al figlio è un buco nello stomaco del figlio, segno di tante altre privazioni. La conclusione è stupefacente. Non si verifica il tipo di fede, ma si dice: «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita».

Questa deduzione ci pone nell’essenza della dimensione religiosa dell’uomo. E quando parliamo di devozione popolare, di santuari e di pellegrinaggi, forme religiose visibili, ma indefinibili, noi tocchiamo le radici della nostra dimensione religiosa. Il mondo cristiano non si estrania da queste forme religiose, perché anche il cristiano non può non esprimersi se non con un linguaggio religioso. Ovviamente con un nuovo innesto, quello della fede

La devozione popolare, il santuario e il pellegrinaggio richiamano una fede «incarnata» nella carne diversa di ogni persona. In questa affermazione sta la grandezza, direi la bellezza, e l’ambiguità della fede del popolo. Anche in campo religioso rimane il mistero del cuore e della coscienza. Visibili e sperimentabili sono il linguaggio e i comportamenti. I comportamenti sono in qualche modo verificabili. Ma non c’è un linguaggio che sia un più o un meno: il linguaggio è prezioso per quello che sa esprimere.

È migliore un salmo o un cero? Dipende dallo spirito che la persona vi immette.

Voglio concludere con il racconto di una mia esperienza giovanile in un santuario. Fresco di studi sacri mi trovavo nel confessionale di un santuario. Si accostò una signora che, tra le altre cose, disse: «Non partecipo quasi mai alla messa festiva; tuttavia accendo ogni giorno una candela alla Madonna». Il fraticello, fresco di studi teologici, cosa rispose? «Meno candele, più messe!». Io non so chi abbia attenuato la durezza di questa risposta. La signora ebbe la forza e il coraggio di spiegarsi: «Sono una ragazza madre. Sono stata scacciata di casa, appena si seppe che ero incinta. Il bimbo nacque muto, incapace di camminare e con altri guai. Lavoro come domestica. Al mattino mi alzo, faccio alzare anche il figlio. Lo lavo, gli do da mangiare e lo metto nella carrozzella. Vado al lavoro. Il santuario, che sta nel mio percorso, apre molto presto, per cui entro, accendo una candela. Se non accendo la candela alla Madonna, chi mi custodisce mio figlio?». Concludo dicendo che faccio molta difficoltà a pensare che devozione popolare, santuario e pellegrinaggio siano parenti poveri della fede.

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