Tipologia del tabernacolo nella storia dell'arte

Prof. Don Timothy Verdon

Chiesa e Liturgia


Tipologia del tabernacolo nella storia dell'arte

Vicenza, 1995

"Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi": questa bellissima porticina di tabernacolo che qui vedete, opera senese del secondo '700 conservata nella chiesa di Sant'Agostino a Siena, può suggerire un tema o meglio preoccupazione centrale all'iconografia della custodia eucaristica dall'anno Mille in poi: e cioé l'attenzione a ricollegare il Sacramento al suo contesto d'origine, la celebrazione comunitaria o Santa Messa. Sebbene la pietà popolare abbia riservato all'adorazione dell'ostia un posto di particolare onore, focalizzando su di essa l'intimo fervore di una spiritualità incarnazionale dalle radici bernardiane e francescane e tutto lo slancio del misticismo popolare tardo-medievale, con qualche inevitabile eccesso, la maniera in cui la Chiesa ha presentato le Sacre Specie ai credenti riporta quasi sempre al contesto liturgico originario. Qui ad esempio, nonostante l'invito a unirsi in adorazione del panis angelicus (ai cherubini e serafini su cui poggia il calice) e nonostante il realismo della crocifissione impressa sull'ostia grande, la configurazione del calice e dell'ostia chiaramente vuole evocare il momento prima della comunione quando il celebrante invita i fedeli a vedere nel pane e vino il corpo e sangue di Cristo: "Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi". Il primo punto da sottolineare dunque é questo: un rapporto fondamentale tra la custodia eucaristica e la celebrazione. Anche l'uso di collocare il tabernacolo sull'altare dai tempi della reazione contro Berengario in poi -qui vi faccio vedere un particolare di una miniatura quattrocentesca, da un Antifinario nella Libreria Piccolomini a Siena, con l'edicola eucaristica sull'altare dove si consacra ¬anche quest'insistenza sull'identità della specie custodita con il pane consacrato durante la Messa, ricollega la custodia stessa al momento celebrativo. Il "domicilium Eucharistiae" (come il tabernacolo viene chiamato in un inventario dell'Abbadia a Rofena -il "domicilio" o casa dell'Eucaristia é il popolo che celebra: la "casa" che Dio promise di costruire per Davide: la discendenza che, in Cristo, innalza l'inno di lode al Padre: la Chiesa in festa, costituita come comunità precisamente nella celebrazione in cui esercita il suo carisma sacerdotale. A parte alcuni episodi aberranti, voglio dire, la tradizione non dissocia mai la custodia eucaristica dalla celebrazione comunitaria. E così sembra essere stato sin dall'antichità. Commentando la prassi comune dei primi secoli, di custodire l'Eucaristia nelle case private e comunicarsi individualmente o nel nucleo familiare, Tertulliano insiste che questo non dispensi dall'obbligo di intervenire nell'assemblea eucaristica della comunità, ma -al contrario -tale familiarità con il corpo e sangue custoditi in casa deve spingere i credenti a "stare anche presso l'altare di Dio" (De orat. 19,4: PL 1, 1286-87). Ma già nel II secolo, Giustino Martire ci conferma l'uso di mettere da parte e mandare l'Eucaristia ai malati: mandare cioé dalla synaxis, dalla celebrazione comunitaria. (Apol. 67, 3). (Qui un particolare del pavimento della Basilica di Aquileia, risalente al IV secolo, può suggerire la semplicità della custodia antica: un paniere o il pane consacrato avvolto in un panno di lino o in una piccola teca d'uso domestico. Le Costituzioni Apostiliche parlano poi del locale apposito della Chiesa dove i diaconi dovevano portare ciò che sopravanzava delle specie consacrate durante la Messa, chiamato Pastoforia -"cubiculo" o meglio "talamo" -: termine che San Girolamo spiega in senso mistico, affermando che é la stanza nuziale preparata per la venuta dello Sposo (cap. VIII, cf Righetti 1:456). Si trattava di un semplice armadio, il conditorium: in Oriente si trovava al fianco dell'altare, in Occidente nel secretarium o sacristia. In che cosa -in che tipo di recipiente -venne custodita l'Eucaristia nell'antichità? Questi calici del sesto secolo, dal tesoro di Galognano, suggeriscono che, oltre a quello grande usato per la celebrazione, altri, più piccoli, potevano servire da pissidi, per riservare il vino e forse anche il pane. Una "edicola" a cupola, bizantina, nel Tesoro di San Marco a Venezia, alta 63 cm, probabilmente serviva per l'esposizione del calice: notate la modanatura posteriore, ritagliata per poggiare sull'orlo rialzato di un altare. Ottato di Milevi, nel tardo IV secolo, rinfacciava ai Donatisti la distruzione degli altari affermando che avevano offeso Cristo stesso, il cui corpo e sangue "abitavano sull'altare in certi momenti", e la Regola di San Fruttuoso di Braga, nel VII secolo, prescrive preghiere da dirsi dopo i pasti, "coram altario, Cristo ..." cioé davanti a Cristo stesso sull'altare. Questi testi, riportati dal Righetti (1:490), sono fortemente suggestivi, ed anche se non dimostrano in modo inequivocabile la riserva o l'esposizione sull'altare prima del IX secolo, suggeriscono i presupposti antichi per lo sviluppo della spiritualità eucaristica medievale.

 

E' solo dopo l'anno Mille che la custodia delle Sacre Specie assume forme canoniche. La massiccia reazione, soprattutto nell'ambito monastico, contro l'eresia di Berengario, accellera la tendenza a trasferire l'Eucaristia dalla Sagrestia nella Chiesa stessa, tendenza già in corso nel IX secolo. Lanfranco di Canturbury indice una sorta di processione eucaristica per la Domenica delle Palme, e a Bec e Cluny s'introducono genuflessioni ed incensazioni davanti all'Eucaristia riservata, e - poco dopo -la lampada accesa. I sinodi di Parigi e del Laterano, nel 1196 e 1215 rispettivamente, raccomandavano di vegliare "cum summa diligentia et honestate" alla custodia del Corpo del Signore, chiedendo che esso venga collocato "in pulcheriori parte altaris" (1:491). Questa bella pisside limosina del secondo '200, nel Museo della Cattedrale di Pienza, suggerisce la forma caratteristica della custodia all'epoca: forma derivata alla teca antica, con un coperchio conico, che già nel '200 viene "elevato" su un gambo che serviva per reggere la pisside così costituito per la comunione. Qui una foto con più esemplari: notate in alto a sinistra, una pisside fiamminga del XIII secolo, che é semplicemente una teca sopraelevata su un gambo; e in basso a sinistra, un oggetto davvero curioso: su un gambo di argento dorato, una pisside costituita da una noce di cocco (l'oggetto si trova nella Chiesa dell'Assunta a Cividale). Gli altri esemplari sono del XV e del XVI secolo. Simili custodie erano "custodite" a loro volta in una sorta di padiglione sospeso, normalmente chiuso ma apribile per l'uso (come in questo disegno di Viollet-le-Duc): sistemazione che evocava la tenda dell'Incontro durante il cammino desertico (l'Eucaristia come panis viatoris e manna abscontidum). Evocava anche il velo del Santo dei Santi nel tempio gerosolimitano. Si trattava di "pissidi pensili", sospese cioé sopra l'altare: sistema adoperato anche per la "colombina eucaristica" (qui, nel bel disegno tratta dal "Christliche Altar" di Andreas Schmid, del 1871, vediamo un'ipotesi di collocazione della colomba eucaristica pensile all'interno del ciborio dell'altar maggiore di Sant'Ambrogio a Milano): forma di tabernacolo che lega ancora più strettamente la custodia del sacramento al momento celebrativo: vediamo lo Spirito mandato sui doni. Un bellissimo esempio francese del XIII secolo, ora a New York, evidenzia la raffinatezza e preziosità di questi oggetti. Notiamo anche la base su cui poggia la colomba: normalmente questo tipo di custodia, come la teca pensile, "abitava" una tenda o padiglione (come in questo disegno tratto dal Dictionnaire du mobilier français di Viollet-le-Duc): una sorta di "colombario sospeso a un'altezza regolabile dalla catenella che vedete. Lo Spirito Santo "scendeva" verso l'altare e dalla sua carne - dall'apertura nella schiena - dava ai fedeli il corpo di Cristo. Notiamo un altro elemento di questa ricostruzione ottocentesca: in cima all'asta di sostegno, c'é la figura di Maria col bambino. Abbiamo già visto la ricca gamma di associazioni bibliche e teologiche per la custodia eucaristica: dal "talamo" dello Sposo eucaristico, al Dio che, nella tenda accompagna il popolo pellegrino. Dopo l'iconografia relativa alla Passione, forse quella più comune nella custodia eucaristica medievale associa le Sacre Specie all'Incarnazione - al corpo nato dalla Vergine Maria cioé. Un tabernacolo a muro trecentesco in Badia a Ombrone, a Castelnuovo Berardenga nel senese, colloca la porticina tra l'Arcangelo Gabriele e Maria: il Verbo, al momento dell'Incarnazione, si fa pane e l'uomo impara a vivere di questa parola uscita dalla bocca dell'Altissimo, l'Eucaristia. Teniamo presente che, dal '200 al '500 (come anche più tardi), l'immagine più frequente sull'altare, e quindi davanti al sacerdote mentre celebrava, era appunto Maria col Bambino (qui un particolare della Messa di San Martino di Tours, un' anonima opera franco-fiamminga, di c. 1440): offrendo il pane, il prete si identifica con Maria: come lei tiene il corpo di Cristo fra le mani, per offrirlo ai fratelli.

 

In Italia, c'era una netta preferenza per la solidità e sicurezza del tabernacolo a muro anziché sospeso. Abbiamo visto quello trecentesco con l'Annunciazione; eccone un esempio quattrocentesco di particolare interesse: il tabernacolo murale nella piccola cappella riservata all'uso di Cosimo Vecchio dé Medici nel Convento domenicano di San Marco, a Firenze, dove il nonno di Lorenzo il Magnifico era solito ritirarsi pre pregare. L'affresco che sovrasta il tabernacolo, su disegno del Beato Angelico ma eseguito da allievi, rappresenta l'Adorazione dei Magi: l'episodio neo-testamentario più adatto per le devozioni del mecenate che aveva messo la sua ricchezza a servizio dei frati, ripristinando e modernizzando il convento; il soggetto é indicato anche per chi aveva fatto venire dall'"Oriente" il Concilio ecumenico del 1439-42, gli anni stessi in cui vennero eseguiti gli affreschi. La scena é interrotta però da una nicchia scavata nella parete, direttamente sopra il tabernacolo: ecco la porticina del tabernacolo, con la nicchia sopra. Dentro la nicchia vediamo un Cristo morto ritto nel sepolcro, con gli strumenti della passione - la colonna, la lancia, la spugna -negli sguanci. L'immagine della passione interrompe un episodio dell'Infanzia, cioé -o meglio -s'inserisce in esso, rivelandosi come la sua realtà di base. E' un'articolazione pittorica dell'interpretazione che troviamo nei Padri rispetto ai doni portati dai Magi: oro per un re, incenso per un Dio e mirra per la sepoltura -un re divino che dovrà morire: il soggetto in cui viene inserita l'imago pietatis e il tabernacolo! Ma notate il recipiente in cui il re giovane (a destra) reca al Bambino il suo dono, la mirra: ha la forma che troviamo nel '400 per reliquari e per ostensori: un abitacolo trasparente, di cristallo, su un alto gambo con una base circolare (qui un esempio fiorentino conservato a Castellina in Chianti). Ora torniamo alla nicchia per notare il foro praticato nella mensola che separa il tabernacolo dalla nicchia: foro che lascia un passaggio di intercomunicazione tra tabernacolo e nicchia. A che serviva? Forse poteva essere lasciato aperto perché chi pregasse davanti al tabernacolo partecipasse spiritualmente al sacramento 'esposto' anche se invisibile (ma corredato all'immagine del corpo del Signore sofferente). O non serviva forse per collocare un ostensorio come quello che abbiamo visto: effettivamente l'orlo del foro é leggermente rientrato, tagliato sì da formare un gradino interno capace di sostenere la base di un ostensorio. Così l'Eucaristia poteva essere contemplata, meditando (con l'aiuto "visionario" dell'affresco) il senso storico (la passione) e simbolico (la mirra e il re morto che rivela ai sapienti di questo mondo la sapienza di Dio, il mistero della croce). I superbi esempi di questo soggetto su portoncini di tabernacoli del '400 e'500 evocano sempre i significati che abbiamo letto nella nicchia angelicana (qui un capolavoro d'oreficeria fiorentina di 30 anni più tardi, nel Museo della Cattedrale di Sovana a Pittigliano). Ma c'é di più: queste immagini dell'uomo di dolori ricordavano il momento prima della comunione, quando noi scambiamo un gesto di pace, ma i nostri avi invece baciavano una pax su cui l'immagine consueta era appunto Cristo come uomo di dolori, deposto dalla croce e sorretto nel sepolcro (come in questo esemplare fiorentino del '400, della Chiesa di San Salvi). Il tabernacolo diventava così prolungamento ideale della pace comunionale vissuta nella celebrazione eucaristica: luogo in cui, essendoci il Signore, quella pace si conserva e si rinnova, poiché "ipse est pax nostra". Diventava anticipazione visiva del dono nascosto al suo interno: il corpo stesso del Signore che si offre dal sepolcro come dall'altare (qui la porticina del tabernacolo ligneo a Asciano, opera della fine del '400 o dei primi del '500, di Fra Raffaello da Brescia). Il Cristo nel sepolcro -il corpo di Cristo sull'altare -occupa tutto lo spazio della piccola cappella gotica scolpita sulla porta; e quando apriamo la porta, l'interno del tabernacolo conferma la nostra lettura: l'Eucaristia custodita é ricollegata con insistenza all'altare parato, alle candele, al calice e all'ostia, nell'istante in cui la potenza dello Spirito invocato sul pane e vino trasforma i nostri doni nel dono che Dio ci offre, Cristo Gesù. Troviamo un'analoga evocazione dell'epiclesi della Messa nel bel tabernacolo a muro di Luca della Robbia per Sant'Egidio, a Firenze (ma già nel '400 trasferito alla chiesa parrocchiale di Peretola): sotto il Padre che benedice, vediamo Cristo morto compianto da Maria e i discepoli (nella lunetta), e poi, nel tondo di bronzo, lo Spirito che discende sul tabernacolo vero e proprio. Un altro tabernacolo "pneumatico" é quello della Cappella Castellani, in Santa Croce: opera di Mino da Fiesole, dove vediamo lo Spirito che scende sopra la porticina lignea, con - sotto - le parole: "hic est panis vivus quod de celo discendit". Nel tabernacolo di Mino, la connessione visiva con la Passione di Cristo -e quindi con l'aspetto storico del sacramento, l'Eucaristia come il corpo offerto quel venerdì su Golgotha -cede il passo all'aspetto metastorico, mistico: l'Eucaristia come manna spirituale, panis angelicus - adorato infatti da angeli, che vediamo a destra e sinistra. Nell'esempio più celebre del tabernacolo murale fiorentino, quello di Desiderio da Settignano per la Basilica di San Lorenzo, della metà del XV secolo, troviamo la gamma completa di questi vari riferimenti teologici: nella cimasa, il Bambino Gesù benedicente che emerge da una grande pisside, in basso, il corpo crocifisso e deposto, compianto dalla Madre e dall'amico. Ma l'elemento centrale, il tabernacolo vero e proprio, privilegia invece l'adorazione mistica: in una 'cappella' prospettica che porta l'occhio alla porticina (oggi mancante), vediamo, ai lati, come se uscissero dalle quinte, figure angeliche che si precipitano verso il Santissimo con gioia indicibile, ineffabile amore: in "rilievo stiacciato", questi angeli esprimono tutta la sublimità del culto eucaristico nel primo rinascimento: tutto l'ardore, l'infinita brama. Anche se la frequenza con cui i credenti si comunicavano materialmente era allora ridotta al minimo, qui traspare quell'intenso desiderio di comunione spirituale, 'angelica', tipico del tardo medioevo. "Aspicere Corpus Christi provocatio est ad dilectionem" aveva scritto Guglielmo d'Auxerre, a proposito della contemplazione dell'ostia: "vedere il corpo di Cristo é una provocazione, uno stimolo all'amore". Alcuni ipotizzavano perfino una parità tra la "manducatio per gustum" e la "manducatio per visum"; San Tommaso invece aveva difeso la superiorità della comunione sacramentale, "per gustum". E' in quest'ambito che un prete inglese, John Myre, scriverà ai fratelli sacerdoti che "chi avrà visto la santa ostia, in quel giorno non mancherà di cibo e bevanda, il Signore gli perdonerà i giuramenti e le parole oziose, gli concederà la vista e lo preserverà da morte improvvisa" (R 3:495). In questo contesto, si capisce lo sviluppo vertiginoso del culto dell'Eucaristia esposta, che permetteva appunto di sperimentare la vita angelica, contemplando il Signore con gli occhi del corpo (qui la miniatura in un Graduale con testi per la festa del Corpus Domini, opera del primo '400 senese). Una fonte tedesca conferma che negli anni 1330, a Minden, era in uso esporre il Santissimo nella mostranza durante la Messa e la recita dell'Ufficio; una cronaca umbra testimonia analogo fervore eucaristico nei pressi di Todi (qui un ostensorio senese del tardo trecento, ora a Pienza). Sul finire del XIV secolo, l'esposizione eucaristica a Brandenburgo, in Germania, fu un fatto quasi quotidiano, con frequenti processioni fuori ma anche dentro le chiese. (Qui un particolare della veduta dell'interno della Cattedrale di Anversa, di Peeter Neefs il Vecchio, che ci mostra una simile processione nel '600). E quando il papa si spostava, era preceduto da -o, meglio -il pontefice seguiva il Sacramento nell'ostensorio montato su un cavallo bianco (qui l'affresco di Giorgio Vasari in Palazzo Vecchio, raffigurante l'ingresso di Leone X dé Medici nel 1515; davanti al carro su cui viaggia il papa sotto un baldacchino (a destra), c'é un altro baldacchino (a sinistra), sotto il quale vediamo un cavallo bianco che porta l'ostensorio. Quest'usanza, continuata fino al '700, divenne un numero obbligato nella regia dei viaggi papali; era un abuso, certo; ma suggerisce ancora l'ampiezza dei significati di cui la custodia eucaristica era capace: in questo caso, simboleggiava il Signore che guida il pontefice e, per suo tramite, la Chiesa.

 

Fu l'intenso desiderio di vedere l'Eucaristia -anzi di metterla al centro di ogni realt umana, quasi come punto di fuga in una costruzione prospettica - che diede addito a un'altra tipologia di custodia, dal '400 in poi: l'edicola eucaristica, un abitacolo elevato sopra l'altare, così che la presenza eucaristica dominava tutta la chiesa. Il modello dipinto dal Vecchietta della splendida edicola sull'altar maggiore del Duomo di Siena, del 1467, ci suggerisce la forma tipica in Italia - un tempietto cilindrico su un alto gambo, e con cimasa ricchissima. La figura d'incoronamento é Cristo risorto, e le aperture ai lati, che lasciano "respirare" l'Eucaristia attraverso una rete, suggeriscono in qualche modo la tomba vuota, o meglio, il Signore vivo dentro la sua sepoltura. Soprattutto testimoniano il desiderio di un contatto immediato: la gente voleva vedere la pisside rinchiusa nell'edicola, voleva respirare la stessa aria, lasciarsi plasmare interiormente dalla forza del Risorto, della sua presenza sperimentata senza barriere. Nell'eseguire il modello invece, non é stata ritenuta praticabile tale "trasparenza" mistica: nell'edicola che oggi vediamo nella Cattedrale, le reti sono diventate decorative, e l'edicola é chiusa. Viste come sfondo per l'elevazione dell'ostia, simili strutture davano il senso della risurrezione del Signore: "elevato" da terra sulla croce ma poi definitivamente elevato dal Padre che lo ha risuscitato (qui di nuovo la miniatura di Girolamo da Cremona, per la stessa cattedrale senese, con un'edicola " a tempietto" vista oltre l'ostia innalzata). Queste "tombe sopraelevate" servivano poi anche per l'esposizione: una veduta posteriore dell'edicola in San Domenico, a Siena, lascia vedere la porticina per la quale, salendo uno scaleo, un sacerdote doveva inserire l'ostia nell'apertura corrispondente sull'altro versante, rivolto verso il popolo. La forma cilindrica con tettoia suggeriva idealmente quella del Santo Sepolcro - qui un rilievo d'avorio del IV-V secolo, al Castello Sforzesco a Milano, ve ne ricorda la sagoma (notate le pie donne in dialogo con l'Angelo -"perché cercate il Vivente fra i morti?"). L'edicola infatti rientra in una visione fortemente risurrezionale dell'Eucaristia, che si sviluppa nell'Italia del '400: le Sacre Specie sono, sì, la presenza di Cristo crocifisso, ma innanzitutto sono presenza gloriosa in mezzo all'altare di Colui che non muore più. Un dipinto del Bergognone in Sant'Ambrogio a Milano n'é l'espressione più eloquente: vediamo Cristo risorto in piedi sull'altare. Mostra le piaghe ed é fiancheggiato da angeli con gli strumenti della Passione, ma Lui é chiaramente vivo e sotto i suoi piedi l'iscrizione proclama: "ego sum primus et ultimus...": "io sono il primo e l'ultimo, il Vivente. Ero morto, ma ora sono vivo". Ecco, l'Eucaristia vista così é il Signore risorto che esce dalla tomba, pane vivo che discende dal cielo (come leggiamo su questo tempietto-sepolcro dell'Eremo di Lecceto, dove le porte aperte davanti e dietro, e la figura d'incoronamento -ancora il Cristo risorto e glorioso -confermano la nostra lettura. Vedere l'ostia esposta nella porta dell'edicola era come assistere alla resurrezione stessa, come vederlo uscire dalla tomba. La forma architettonica poi cambiava secondo la regione: nell'Europa settentrionale troviamo splendide guglie gotiche in legno scolpito, come quest'edicola del XV secolo ora al Musée de Cluny a Parigi. Notate però che la struttura é trasparente: sebbene con difficoltà, si riesce a vedere l'interno. "Aspicere corpus Christi provocatio est...". Tra le più magnifiche edicole mai create, ricordiamo quella gigantesca del rifacimento tridentino dell'altare maggiore della Basilica di Santa Croce a Firenze. Tolto il ponte divisorio del coro trecentesco che aveva celato l'altare dalla vista, l'altare nuovo disegnato da Giorgio Vasari nel 1560 collocava la visione della tomba del Risorto - la grande edicola cioé - sotto un arco di trionfo. (Qui un particolare di un dipinto ottocentesco suggerisce le dimensioni monumentali di questa costruzione). Rimossa nel tardo '800 in una ri-goticizzazione del presbiterio, l'edicola del Vasari é ancora visibile in una cappella laterale di Santa Croce, con gli angeli che, dalle nicchie ai lati adoravano il Corpo del Signore. L'edicola non era un tabernacolo ad uso quotidiano bensì la collocazione visibile e drammatica della presenza reale di Cristo nella sua chiesa. Ma influì inevitabilmente sulla forma del tabernacolo ordinario e della "residenza" eucaristica -struttura studiata unicamente per l'esposizione cioé; qui ne vedete una, di qualche decennio più tardi dell'edicola di Santa Croce, che ne evoca le forme, con angeli adoranti in 'nicchie' a destra e sinistra della 'tomba' in cui dovevamo vedere il Sacramento del Signore risorto. Anche qui l'iscrizione ci ricorda che il suo corpo, dato per noi sulla croce, é pane vivo. Questi significati incrociati e complementari sono espliciti in sommo grado in un tabernacolo del primo '600 da Monteriggioni (tra Firenze e Siena): sulla portoncina vediamo la resurrezione e ai fianchi angeli adoranti; mentre, in alto, altri angeli contemplano l'Eucaristia, il "manna absconditum" (come leggiamo). Tra l'Eucaristia e Cristo Risorto vediamo lo Spirito Santo. E' un tabernacolo d'altare (questo é alto appena 68 cm.), ma nel contempo assolve le funzioni di edicola eucaristica (lasciando "vedere" almeno pittoricamente il Sacramento) e di residenza per l'esposizione. Il calice e l'ostia sono ancora presentati nella configurazione dell'ecce agnus Dei, ma il contesto non é più quello della liturgia terrena, bensì di quella angelica in cielo. Abbiamo visto che, nella Germania del '300 e '400 si celebrava la Messa davanti all'ostia solennemente esposta: ecco in quest'esempio italiano del primo '600, sull'altare della Messa, i fedeli vedevano come una continua esposizione celeste. La collocazione permanente del tabernacolo sull'altare a partire dal primo '500 voleva soddisfare l'esigenza tardo-medioevale di ininterrotta visione - 'beatifica' e beatificante - del corpo del Signore. La Messa rimane il contesto ideale, ma il rito terreno cede davanti alla rivelazione del rito celeste svolto dal Risorto stesso al cospetto del Padre. Quando Giorgio Vasari, alla metà del '500, descriverà l'affresco di Raffaello raffigurante i Padri che "disputano" sul Santissimo Sacramento (nella Stanza della Segnatura in Vaticano), dirà convinto che "stanno scrivendo la Messa". 'Stanno scrivendo la Messa' cioé a partire dal Sacramento già presente nella Chiesa, collocato al centro, sotto lo Spirito mandato da Cristo Risorto e dal Padre. Ma - notiamo bene -la realtà previa é la presenza del Salvatore risorto sull'altare, nel Sacramento. Per la sensibilità cinquecentesca, la celebrazione comunitaria e perfino le parole del Canone s'ispirano a questa presenza, non la producono -partono da essa, non la creano. Il tabernacolo al centro dell'altare (che oggi tanto ci turba) aveva questo senso: il Sacramento custodito era come il cuore nel petto della Chiesa, o l'intelligenza nello spirito d'un uomo (come dice il biografo di Matteo Giberti, il Vescovo di Verona che, tra il 1524- 43 promosse energicamente la collocazione del tabernacolo sull'altare principale delle chiese: "tamquam cor in pectore et mentem in anima" (R 1:426). Gli altari barocchi con i loro tabernacoli pirotecnici, o con alte residenze per l'esposizione, volevano riportare a questa realtà previa: la presenza del Risorto sacramentato come "cuore nel petto" della comunità (qui il fastoso progetto per un apparato per le 40 ore, di Gregorio dé Ferrari, morto nel 1726: un disegno conservato a Genova). Quest'essenzialità sacramentale -questo senso dell'Eucaristia come la realtà di base, "tamquam cor in pectore" che condiziona assolutamente la vita della chiesa, porterà man mano all'esclusione di ogni tipo di custodia che non sia il tabernacolo nel bel mezzo dell'altare: sistemazione imposta a Tolosa nel 1590 e nella diocesi di Roma nel 1614. Dopo uno sviluppo quasi universale nel '700, questa sistemazione del tabernacolo sull'altare verrà imposta alla Chiesa Universale il 21 agosto 1863 (poco più di un secolo prima dell'abrogazione della norma nell'odierna riforma dei riti). La stessa essenzialità portò anche all'eliminazione di strutture espositive "narrative" -mostranze che collegavano l'Eucaristia al fatto storico dell'Incarnazione o della Passione (qui l'ostensorio monumentale di Nibilio Gaggini, nella Chiesa Madre di Polizzi, nel palermitano, del 1586, dove l'ostia veniva esposta sopra l'Ultima Cena - notate le sculture in basso). Viene eliminato questo tipo di ostensorio, a favore di quello raggiante introdotto nel '400 (qui un esempio di manufattura romana del 1468, conservato al Museo dell'Opera di Siena). Non la vicenda storica in primo luogo quindi, ma la presenza ab eterno del mistero rivelato in Cristo: Dio realmente presente nella materia, Sole di giustizia che sorge per l'uomo, che sana il nostro mondo col calore dei suoi raggi benefici.


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