Tendenze attuali nell'uso e nelle caratteristiche delle vesti liturgiche

Chiesa e Liturgia


Tendenze attuali nell'uso e nelle caratteristiche delle vesti liturgiche

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Negli anni post-conciliari (cioè dal 1965 ad oggi) per quanto riguarda le vesti liturgiche sono emersi nel clero italiano, in modo del tutto informale, atteggiamenti nuovi rispetto agli anni precedenti ed è innegabile che, nello stesso periodo, vi sia stata anche una certa evoluzione dei tipi e dei modelli delle vesti stesse. In un primo arco di anni, dall’immediato dopoconcilio a tutti gli anni settanta, si è notato un diffuso atteggiamento di “disagio” nei riguardi delle vesti tradizionali e nei riguardi di quelle antiche in genere. Non sono mancati atteggiamenti di radicale secolarizzazione che hanno portato alla messa in discussione dei paramenti stessi.

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Dalla maggioranza dei sacerdoti, tuttavia, l’attuazione della riforma liturgica è stata “spontaneamente” interpretata in questo campo da una parte come preferenza per vesti e paramenti “più moderni”, nei quali il carattere di modernità si risolveva essenzialmente nella presenza di requisiti come la maggior praticità d’uso, la leggerezza, l’uso di materiali sintetici, semplicità di linea e ridotta decorazione; dall’altra come presa di distanza e quindi accantonamento dei paramenti e delle vesti antiche, che con i loro broccati, damaschi, galloni e pizzi erano sentite come testimoni di una liturgia fastosa da superare.
In questo periodo, inoltre, si rileva la definitiva e generale caduta in disuso del manipolo e l’affermazione della casula con la correlativa scomparsa della pianeta, in precedenza diffusissimo se non proprio esclusivo paramento liturgico nelle chiese italiane.
In una seconda fase, che possiamo far iniziare con gli anni Ottanta, superato il momento iniziale dell’attuazione della riforma liturgica, si è assistito al definitivo assestamento nella scelta della casula e nell’abbandono della pianeta, al riemergere di attenzione nei riguardi del patrimonio storico dei paramenti guardati ora con minore sospetto che negli anni precedenti, all’elaborazione di nuove proposte, sempre nella linea della massima semplificazione (che rasenta la stilizzazione) come lo “stolone”, in sostituzione di stola e casula. Sempre in questo periodo si assiste a un ritorno di attenzione e di favore nei riguardi delle vesti di “qualità”, compresa la decorazione intesa in senso “simbolico”. In sintesi si può dire che negli anni post-conciliari la grande maggioranza dei sacerdoti italiani, nel conteso della riforma liturgica ha espresso un certo desiderio di rinnovamento anche nel campo delle vesti e dei paramenti. Dai più si è intuito, sia pure in modo confuso ma sostanzialmente corretto, che nel complesso mondo delle celebrazioni liturgiche rinnovate dal Concilio anche le vesti potevano giocare un ruolo positivo o negativo. L’intuizione tuttavia non è stata elaborata a sufficienza né ha trovato modo di esprimersi se non in forme iniziali. Da parte dei liturgisti italiani, infatti, l’attenzione per le espressioni artistiche coinvolte dalla liturgia, vesti comprese, si è a lungo mantenuto a livelli minimi e non ha saputo interpretare le istanze di rinnovamento vagamente sentite dal clero.

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Il settore della produzione, da parte sua, abituato ad immettere sul mercato modelli e stilemi nei quali le variazioni erano minime e i mutamenti lentissimi, si è limitato a rilevare il cambiamento senza interrogarsi sul suo significato e le sue motivazioni profonde. Privo da sempre di riferimenti nel campo della liturgia e di rapporti di scambio con le figure dotate di capacità innovativa nel campo della creazione di nuovi modelli e nel campo dell’arte tessile, il settore della produzione italiana si è dimostrato incapace di avviare una seria stagione di rinnovamento, paragonabile a quella avviata, almeno in modo parziale, nel campo dell’architettura e della musica sacra.
Un segno evidente della situazione di sostanziale stasi nel rinnovamento della produzione delle vesti liturgiche è dato dalla quasi totale mancanza di letteratura e di documentazione al riguardo.
Vale la pena di ribadire che da una parte la riforma liturgica, per altro ancora ben lontana dall’essere attuata, richiede di essere interpretata anche nel campo delle vesti e dei paramenti liturgici; dall’altra la produzione italiana, considerata nella sua globalità, non ha ancora potuto avviare una produzione in qualche modo accettabile dal punto di vista di tale riforma e delle prospettive aperte dal Concilio nei riguardi delle espressioni artistiche attuali. Solo la collaborazione ed il confronto con soggetti creativi come i creatori di moda e gli artisti tessili, sostenuti dalla competenza dei liturgisti, può offrire uno stimolo decisivo per rinnovare la produzione italiana.

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*Mons. Giancarlo Santi

Presidente Comitato Scientifico di Koinè Ricerca


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