Liturgia di luce. Il valore delle vetrate per la celebrazione

Chiesa e Liturgia


Liturgia di luce. Il valore delle vetrate per la celebrazione

Il tema in esame si inserisce nel quadro più ampio di “liturgia e luce” nel senso del codice ottico nel quadro della performance liturgica. La liturgia è performance perché è un’azione in cui interagiscono molti codici verbali e non-verbali, con valore simbolico e pragmatico, tesi a produrre una efficacia sacramentale. Il codice ottico si manifesta in diverse modalità, dal semplice vedere, al programma iconografico, al sistema illuminotecnica, al gioco della luce naturale con le vetrate.

La novità del Vaticano II con la riforma della liturgia è consistita soprattutto nella sottolineatura dei molteplici linguaggi, che informano l’azione teandrica, superando in modo inequivocabile la visione ilemorfica tridentina limitata alla materia e alla forma del sacramento. Da questo punto di vista si può parlare di un’autentica rivoluzione nella liturgia cattolica, non ancora del tutto metabolizzata a livello teologico e pastorale perché esige una “competenza rituale” ancora in allestimento. In genere prevalgono i significati contenutistici di tipo cristologico ed ecclesiologico e si è un po’ sprovveduti sotto il profilo pragmatico, che tende al performativo e all’efficacia sacramentale.

La lezione impartita da Sacrosanctum Concilium è la sottolineatura del valore sacramentale delle dimensioni rituali, inopinatamente ritenute “ad solemnitatem” dalla teologia scolastica e dalla precedente teoria del segno di Agostino. Oggi invece si tende a dare grande valore alla sintassi, quasi indipendentemente dalla semantica, come nei lavori di Lawson e di Mc Cauley e a considerare il rito come una semplice concatenazione di immagini. Inoltre la riscoperta del corpo, come conoscenza sensibile originaria, ha permesso una diversa considerazione della liturgia come insieme di percezioni corporee ed estetiche più primitive della parola e dei concetti. Dire rito è dire sensibilità, ovvero conoscenza sensibile, ovvero pensiero immaginale. Le immagini tendono ad una comunicazione diretta, capaci di commozione, come quella provata da R. Guardini nel Duomo di Monreale, mentre i fedeli stavano a guardare adoranti l’elevazione dell’ostia consacrata.

Il primo compito è quello di riaggiustare il concetto di “credenza” alla base dell’appartenenza religiosa, che è diventato sinonimo di giusta dottrina da conservare inalterata. Sempre più prevale un’accezione di “credenza” come “religione visibile”.
Su questa linea si muove Rudolf Arnheim, che propone la percezione visiva come attività conoscitiva primaria. Se il nostro cervello pensa per immagini, si può anche ipotizzare che il linguaggio religioso più efficace e più originario sia quello visivo. Infatti i primi linguaggi dell’homo sapiens sono pittogrammi, che, secondo Severi, sono una pratica di pensiero “tra percezione e memoria. Nella liturgia cattolica interagiscono diverse modalizzazioni del codice ottico: l’icona, l’immagine plastica di statue, le metafore letterarie, la luce della vibrazione con le ombre della architettura, talora amplificata dalle vetrate o dagli impianti illuminotecnica. Ognuna ha una sua peculiarità, ma sempre offre un incremento performativo e di esperienza mistica.

Le immagini iconiche agiscono non in maniera statica ma dinamica, in quanto partecipano all’azione rituale. Anche le vetrate partecipano in senso dinamico all’azione liturgica perché creano un clima religioso.
Le vetrate d’arte sono parte integrante del progetto architettonico e del programma iconografico di una chiesa. La storia degli edifici cristiani ci offre un panorama vario e ricco di soluzioni. Si tratta di ripensare il tema oggi con la sensibilità della riforma liturgica del Vaticano II. Due mi sembrano le riflessioni fondamentali: il rapporto vetrate-liturgia e il rapporto vetrate-progetto architettonico. Che cosa significa celebrare con la luce? Significa soltanto vederci per non inciampare o per illuminare meglio le zone dell’azione? Ovviamente c’è di più. La luce gioca col buio e modifica le percezioni e gli umori. Essa ha una carica simbolica immensa sui nostri stati d’animo, come quando si passa dalla luce esterna al buio interno di una chiesa romanica, o come quando si accende una candela nella notte di Pasqua. Può farci precipitare nell’oppressione dolente o può produrre una gioia incontenibile, come quando i minatori vedono la luce del sole salendo dal ventre della terra.

Il simbolismo della luce gioca con l’ombra, come la parola col silenzio. La vetrata marca un confine e permette un oltrepassamento di soglia tra interno ed esterno senza tuttavia traghettare completamente in altro luogo. La magia delle vetrate non si ottiene assemblando vetri colorati, neppure assecondando quel pessimo gusto oleografico delle figure bibliche o agiografiche a scopo edificante, si ottiene attraverso il sapiente dosaggio della luce nelle varie ore del giorno filtrata dall’arte di accostare i colori. La vetrata non dovrebbe perseguire disegni didattici, già la sua capacità di trasformare la luce in un gioco astratto di colori riesce a produrre una profonda esperienza estetica.

L’architettura come la pittura è un’organizzazione spaziale della luce, è modulazione della luce che offre allo sguardo una messa a fuoco particolare su alcuni elementi per non lasciarsi depistare dal rumore dei molti vettori del campo ottico. L’architettura è una palpebra artificiale, è un marchingegno per convogliare l’attenzione e la conoscenza in una qualche direzione. Non si può parlare di architettura senza coinvolgere la luce, perché l’architettura è la gestione spaziale tridimensionale della luce. Il lavoro degli architetti è modulare la luce nello spazio per ottenere determinati stati d’animo o esperienze. La modulazione è una sorta di vibrazione di chiarore e di oscurità. È il tratto fondamentale che l’architettura gestisce come un dosatore artificiale del continuo passaggio dall’ombra delle masse edilizie, che catturano e criptano la luce, alla chiarità di una luce filtrante, alterata e restituita da un incessante gioco di riverberi e di chiaroscuri. Questo gioco di vedere e non vedere, di manifesto e di occultato è il meccanismo di qualsiasi significazione veritativa del linguaggio umano, di cui il codice ottico è parte rilevante.
Talvolta la simbolizzazione dello spazio sacro è enfatizzata da molteplici selettori di luce, vere e proprie macchine di fotosintesi simbolica. Vetrate, dipinti, mosaici sono strumenti, artifici per la modulazione della luce esattamente come la struttura architettonica, per ottenere effetti speciali e per produrre sentimenti religiosi nello spettatore.

*Don Roberto Tagliaferri 


Liturgista, Istituto di liturgia pastorale “S. Giustina” di Padova


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