Il calice. Un oggetto. Una presenza. Tra simbolo e funzione.

Chiesa e Liturgia


Il calice. Un oggetto. Una presenza. Tra simbolo e funzione.

Uso contesto e simbolo dell’oggetto liturgico. Come sempre o almeno molto spesso avviene, l’uso profano (la funzione) precede l’uso liturgico con le sue implicazioni simboliche. Anzi, assai spesso, l’uso profano determina e condiziona l’uso rituale e la portata simbolica dell’oggetto. È una norma generalissima in liturgia e nella ritualità umana. Non tenerne conto e trattare l’oggetto come un assoluto sarebbe grave errore e falserebbe ogni tentativo di nuovo approccio funzionale e simbolico. Anche nel nostro caso.

In origine si tratta solo d’un bicchiere, o nelle forme più elaborate, d’una coppa che col tempo si riveste (o si riempie) di nuovi e inediti significati: non il bere soltanto checchessia, ma il bere questa bevanda in questo contesto rituale. II contesto è offerto dal rito (insieme dei gesti e delle parole) che lo vede protagonista, dal luogo nel quale questo si svolge, dagli attori che lo celebrano, dagli oggetti che gli fanno contorno. Sarà proprio questo contesto che lo definiranno, dandogli coerenza e giustificazione.

   Materia e forma. Le più varie, secondo la civiltà che le esprime, la tradizione toreutica, l’abilità dell’artista o dell’artigiano, la ricchezza e la disponibilità economica della comunità che ne farà uso, la destinazione secondaria dell’oggetto.

Materia. Terracotta, legno, vetro, rame, bronzo, argento, oro. Questi metalli o materiali di base raramente sono utilizzati in modo esclusivo. Più facilmente essi si trovano utilizzati in composizione diversa tra di loro. Per ciò che concerne la decorazione, assai praticata è la composizione con perle, pietre dure o preziose, smalti, vetri, ceselli, bulinature.

Forma. A bicchiere semplice, (spagnolo: vaso), senza piede. A piede circolare, esagonale, ottagonale; a forma di petalo, a scanalature diritte, ad andamento leggermente a spirale. Stelo: basso, medio, alto, altissimo. Calice ansato (da conservazione dell’Eucaristia o da comunione), calice senza anse (da consacrazione).

Tali differenze non possono essere datate con assoluta esattezza. Le diverse forme spesso convivono. Al calice si aggiunge un nodo: tondo, esagonale, quadrato, spesso assai lavorato e mlto finemente elaborato nella forma, nel cesello, nelle pietre, negli smalti. Nel secolo XV il calice abbandona la forma gotica e si avvia al calice classico della controriforma.

Ai nostri giorni il calice conosce le forme più disparate: Per i relativamente pochi pezzi unici, frutto di valorosi artisti che accettano la difficile sfida, molte sono le copie dei periodi classici, dal catacombale al bizantino, dal preromanico al romanico, dal gotico al cinquecentesco, fino ad oggi. Ma molta è anche la paccottiglia che ingombra, imbrattando le vetrine d’arte sacra di squallida bigiotteria sacramentale.

Il simbolo e la presenza. Tutto ciò che siamo venuti dicendo fin ora entra solo parzialmente e secondariamente nel tema che mi è stato affidato. Esso ci dice come si è reso il calice manifestazione d’una fede e d’un culto, ma spesso a noi sfugge ormai il senso del mistero che vi si cela dentro. Spesso si dimentica che il calice deve parlarci di ciò che esso contiene e che i nostri occhi non riescono neppure a scorgere, a meno che non si tratti di un calice di vetro. Ma anche in questo caso, cos’è mai che vediamo al di là di poco vino? Ecco perché ciò che viene chiesto all’autore d’un calice è niente meno che la capacità di rendersi mediatore tra il mistero e la sua apparenza.

Share this article:
Il tuo browser non è aggiornato!

Aggiornalo per vedere questo sito correttamente. Aggiorna ora

×