I santi e i loro attributi

Ogni opera figurativa possiede un significato primario, che è quello degli oggetti o delle scene che vi sono rappresentati

Fede e Devozione


I santi e i loro attributi

In un celebre scritto del 1939 Erwin Panofsky delineava la sua teoria su “iconografia e iconologia” divulgando lo studio del significato delle arti visive praticato dal Warburg Institute: «L’iconologia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i valori formali»[1]. Ogni opera figurativa possiede infatti un significato primario (o formale), che è quello degli oggetti o delle scene che vi sono rappresentati (un uomo o una donna o più persone in atteggiamenti statici o dinamici ed esprimenti sentimenti, la presenza di oggetti o di un paesaggio che si riconoscono sulla base dell’esperienza o della cultura ecc.). Ma nessuna opera d’arte è stata creata per mostrare semplicemente una sezione di realtà (neppure la fotografia), ma essa si presenta come simbolica, cioè carica di un significato che va al di là delle apparenze e che risiede in primo luogo nell’intenzione dell’artista e anche fuori di esso come espressione della cultura nella quale egli è immerso. Se questo discorso appare ovvio per l’arte contemporanea, Panofsky e la scuola a cui egli appartiene hanno insegnato a decodificare questo significato destrutturando dei loro elementi costitutivi anche le opere d’arte antiche.

In realtà la differenza tra i due termini, valido sul piano linguistico – iconografia come “descrizione dell’immagine” e iconologia come “spiegazione dell’immagine” – ha scarso riscontro nella pratica ed esse sono in realtà due operazioni complementari e spesso simultanee.

Il concetto di simbolo è complesso e di difficile definizione in sé. Inoltre per l’osservatore e gli artisti di oggi i simboli impiegati per secoli sono difficili da decifrare perché l’arte contemporanea ne prescinde o ne inventa di propri. «Un simbolo nell’arte figurativa è un oggetto (in senso lato), una pianta, un animale o un segno (cifra, lettera, gesto o simili) al quale in un determinato contesto viene associato un significato (profondo)»[2]. Il meccanismo è di indurre l’osservatore, che conosce quel determinato oggetto ecc. dall’esperienza quotidiana, a pensare ad altro (per lo più a un concetto astratto), magari mediante una collocazione insolita che crea stupore. Ad esempio un teschio umano in mano o vicino a un uomo (solitamente nessuno gira con un teschio in mano) è allusione alla caducità della condizione umana (memento mori). Inoltre, lo stesso simbolo può avere un significato diverso a seconda del contesto in cui è posto: il teschio collocato ai piedi della croce è allusivo al nome dell’altura dove fu crocifisso Gesù (Golgota, in ebraico «luogo del cranio») secondo i Vangeli e anche alla “leggenda della vera croce”, di origine apocrifa, secondo la quale Cristo sarebbe stato crocifisso nel luogo della sepoltura di Adamo (a cui apparterebbe dunque il teschio), su una croce ricavata da un albero discendente di quello del Giardino dell’Eden (la leggenda è raffigurata da Piero della Francesca nel coro di San Francesco ad Arezzo). Quest’ultimo elemento, prescindendo dalla sua non attendibilità storica, funziona sul piano simbolico teologico, perché effettivamente l’ubbidienza di Cristo al Padre ripara la disubbidienza di Adamo e il sangue del sacrificio di Cristo lava i peccati di ogni uomo.

Una categoria dei simboli è costituita dagli “attributi” legati, particolarmente nel nostro caso, a un santo, con una duplice funzione: identificare un dato personaggio e dire qualcosa della sua personalità, alludendo a un episodio della sua vita, a una qualità della sua spiritualità, a una funzione svolta in vita o dopo morte (di solito non c’è soluzione di continuità) a favore dei fedeli (un miracolo, un’intercessione). I martiri sono raffigurati con lo strumento del loro martirio (la graticola per san Lorenzo, le pietre per santo Stefano, le mammelle per sant’Agata ecc.). Altri simboli inducono a pensare a un tratto morale: l’agnello per sant’Agnese, oltre all’assonanza dei nomi latini – agnus/Agnes – e al richiamo della mitezza d’indole, allude soprattutto al sacrificio di Cristo (Agnus Dei) al quale quello del martire si conforma.

Il ricorso agli attributi è una tecnica nota fin dall’arte antica per dei ed eroi del mito; in età paleocristiana i santi venivano invece rappresentati per lo più con attributi generici (il nimbo, il rotolo, la corona) e per la loro identificazione si faceva ricorso a un’iscrizione o altro testo. Dal medioevo, anche per l’affermazione sempre più ampia del culto dei santi, divenne necessario distinguerli immediatamente facendo ricorso appunto agli attributi.

Gli artisti del medioevo e dell’età moderna, che vivevano in un ambiente culturale di cristianità, frequentando la liturgia e praticando essi stessi atti di pietà, conoscevano il contesto in cui le loro opere erano fruite.

Il metodo iconografico/iconologico dal secondo dopoguerra ha avuto grande importanza fin quasi a far passare in secondo piano l’interesse per lo studio storico stilistico (che mantiene la sua importanza prevalente solo in Italia) e determinando la pubblicazione di molti utili strumenti di consultazione che intendono fornire all’iconografia una solida base scientifica nella forma di una classificazione sistematica di tutte le rappresentazioni esistenti o possibili nell’arte figurativa. Gli strumenti che illustreremo fra poco furono approntati per lo studio moderno delle opere del passato nell’ambito delle discipline storico artistiche, ma naturalmente possono essere utilizzati anche dagli artisti che intendono fare oggi arte liturgica o devozionale cristiana. Chi desidera accostarsi scientificamente e criticamente alle vite dei santi, può affidarsi alla Bibliotheca Sanctorum, che offre per ogni santo anche una sintetica trattazione iconografica arricchita da illustrazioni[3].

La migliore opera di consultazione per l’iconografia cristiana è il Lexikon der christlichen Ikonographie, iniziato dal gesuita Engelbert Kirschbaum che tratta ogni soggetto, simbolo e personaggio in dettaglio, con indicazioni delle fonti letterarie;[4] .

Strumenti più agili sono il Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte di J. Hall, che descrive le principali scene (bibliche, mitologiche, storiche), l’iconografia dei principali personaggi (compresi i santi) e fornisce l’elenco dei principali attributi da cui risalire al soggetto e il Lessico di iconografia cristiana di G. Heinz-Mohr, che aiuta a decodificare simboli e attributi. Sono utili anche il più recente dizionario di Iconografia e arte cristiana[5] e altre opere simili pubblicate nelle diverse lingue, che però sono necessariamente sommarie e incomplete.

Ma lo strumento di gran lunga più completo e complesso è Iconclass – An Iconographic Classification System, ideato dal prof. Henri van de Waal (m. 1972) dell’Università dei Leida, pubblicato fra il 1972 e il 1985 in 17 volumi in lingua inglese e ora disponibile parzialmente anche on line in varie lingue: esso è il tentativo di creare un sistema universale di classificazione delle immagini (fra cui quelle cristiane)[6].

Naturalmente una ricerca approfondita su un determinato argomento come l’iconografia di un santo non può prescindere dalla ricerca bibliografica. Già i repertori sopra citati offrono una bibliografia scelta, ma per il suo aggiornamento è necessario consultare i database bibliografici on line, fra i quali eccelle Kubikat che raggruppa i record (libri e articoli di riviste) del Kunst historisches Institut di Firenze, del Zentral istitut für Kunstgeschichte di Monaco, del Deutsches Forum fürKunstgeschichte di Parigi e della Bibliotheca Hertziana di Roma[7]. L’artista che si cimenta con l’iconografia dei santi, senza rinunciare alla propria individualità e al proprio stile artistico e senza escludere la possibilità di innovazioni, accetta di entrare in una tradizione (dal latino, tradere, tramandare) che comporta l’assunzione di espressioni codificate relative alle immagini e al loro contenuto necessarie per la loro immediata comprensione. Deve dunque non solo conoscere bene le notizie storiche o agiografiche e la tradizione iconografica, ma deve anche entrare nella spiritualità che la Chiesa ha assegnato a ogni santo. Quest’ultima potrebbe anche arricchirsi nel tempo di nuovi significati.

A maggior ragione, per individuare la spiritualità dei santi più recenti (per biografia o per definizione), oltre a fare ricorso alle loro biografie, facilmente reperibili in qualsiasi libreria, è utile leggere le omelie dei pontefici in occasione della loro canonizzazione (o beatificazione). Questi documenti non danno prescrizioni riguardo all’iconografia, che è ancora da definire, ma aiutano a inventarla.

Secondo l’insegnamento della Chiesa, le immagini sacre sono:

-           trascrizione iconografica del messaggio evangelico, in cui immagine e parola rivelata si

            illuminano a vicenda; la tradizione ecclesiale esige infatti che l’immagine “si accordi          con la lettera del messaggio evangelico”[8];

-           santi segni, i quali, come tutti i segni liturgici, hanno Cristo come ultimo referente; le         immagini dei Santi infatti “significano Cristo che in loro è glorificato”[9];

-           memoria dei fratelli Santi, “che continuano a partecipare alla storia della salvezza del       mondo e ai quali noi siamo uniti, soprattutto nella celebrazione sacramentale”[10];

-           aiuto nella preghiera: la contemplazione infatti delle sante immagini facilita la supplica     e sprona a rendere gloria a Dio per le meraviglie di grazia operate nei suoi Santi;

-           stimolo all’imitazione, perché “quanto più frequentemente l’occhio si posa su quelle

            immagini, tanto più si ravviva e cresce, in chi le contempla, il ricordo e il desiderio di        coloro che vi sono raffigurati”; il fedele tende a imprimere nel cuore ciò che          contempla con gli occhi: un’”immagine vera dell’uomo nuovo”, trasformato in Cristo     per l’azione dello Spirito e per la fedeltà alla propria vocazione;

-           forma di catechesi, perché “attraverso la storia dei misteri della nostra redenzione,          espressa con i dipinti e altri modi, il popolo viene istruito e confermato nella fede,            ricevendo i mezzi per ricordare e meditare assiduamente gli articoli di fede”[11].

[1] Cf. E. Panofsky, Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell'Arte del Rinascimento(1939), in Id, Il significato delle arti Visive, Torino Einaudi, 1996, pp.29-57:31.

[2] R.Van Straten, Introduzione all’Iconografia, Milano Jaca Book, 2009, p.65

[3] Biblioteca Sanctorum, Roma, Istituto Giovanni XXIII, 1961-1970, 12 volumi e indici.

[4] L. Rèau, Iconographie de l’art chrètien, Paris, PUF, 1955-1959, 3parti in 6 volumi.

[5] Iconografia e arte cristiana (Dizionari San Paolo), diretto di L. Castelfranchi e M.A. Crippa, a cura di R. Cassanelli e E. Guerriero, Cinisello Balsamo [MI], San Paolo, 2004, 2 volumes.

[6] www.iconclass.nl/home

[7] aleph.mpg.de/F?func=file&file_name=find-b&local_base=kub01&con_lng=ita

[8] Definizione del Concilio Niceno II (787), in D. Menozzi, La Chiesa e le immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1995, pp. 101-103: 101-102)

[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, LEV, 2012, n. 1161.

[10] Ibid

[11] Council of Trent, Decreto sull’invocazione, la venerazione e le reliquie dei Santi e le sacre immagini, ibid., pp. 206-208: 207.

Fabrizio Capanni*

 


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