La Rilevanza Liturgica della Parola e il suo Sostegno Tecnologico

Edilizia di Culto


La Rilevanza Liturgica della Parola e il suo Sostegno Tecnologico

Il valore liturgico della Parola

Guido Genero, liturgista

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Fin dall’inizio della sua storia, la Chiesa cristiana ha imparato ad obbedire al comando del suo Signore e di conseguenza, non ha mai cessato di radunarsi in assemblea di culto per ascoltare la Parola di Dio e celebrare i segni sacramentali[1]. Dentro questa scia rituale, il codice linguistico e, anzi, il codice sonoro con tutte le sue implicanze – del resto collegate alla visibilità e alla tangibilità dei simboli – è stato privilegiato non solo per la sua intrinseca potenza, ma perché progettato come essenziale dalla stessa volontà del Maestro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Questo comando viene realizzato non solo nell’annuncio, nella predicazione e nella catechesi, ma si avvera con stabilità in ogni celebrazione:

«Infatti la stessa celebrazione liturgica, che poggia fondamentalmente sulla Parola di Dio e da essa prende forza, diventa un nuovo evento ed arricchisce la parola stessa di una nuova interpretazione e di una nuova efficacia»[2]. Ne deriva la conseguenza che la percepibilità della parola, sia singola (ministri) sia comunitaria (gruppi, coro, assemblea), diventa un’esigenza decisiva nel processo dello scambio rituale. Infatti le diverse forme e i diversi generi di ritualità verbale permettono l’agire liturgico di incontrarsi con Dio stesso che parla al suo popolo («[Cristo] è presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura»[3], di accogliere il dialogo tra ministri e popolo con tutte le parti che spettano a ciascuno e di utilizzare la varietà dei testi e dei canti, senza dimenticare l’importanza del sacro silenzio.

«In realtà, tutta la liturgia è “della parola”, poiché la Parola, sotto tutte le sue forme… è al centro della liturgia, e al suo principio. Tutto, nella liturgia, è regolato da e per la Parola. La Parola si pone, si propone a noi, ma essa attende anche e suscita una risposta»[4]. Il valore della Parola è molto più che informazione, comunicazione, espressione o trasmissione: essa è veicolo sacramentale, ossia salvifico nella linea cristologica ed ecclesiologica, è partecipazione, almeno incoativa, della natura umana con la natura divina che perfeziona e trasforma il soggetto secondo il progetto di Dio, rivelato ed attuato nel mistero pasquale di Cristo.




[1] Conc. Vat. II, SC n.6

[2] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO Ordinamento delle letture della Messa, 3 (=OLM), (a cura di Manlio Sodi), Ed. Messaggero, Padova 2010, p. 21.

[3] Conc. Vat. II, SC n.7

[4] F. CASSINGENA TREVEDY, La liturgia, arte e mestiere, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose 2011,

La comunicazione sonora nella liturgia

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L’uso fenomenico della parola, quando entra a contatto e viene a far parte della celebrazione liturgica, fa sorgere diversi problemi che devono essere ben impostati per trovare adeguata soluzione.

Un primo problema riguarda il contesto generale in cui avviene qualunque fatto di parola rituale: occorre conoscere l’ambiente esterno ed interno nel quale si muovono e sostano le persone, per cui ci si deve occupare degli aspetti comunicazionali intorno e dentro l’aula liturgica, cogliendo rumori e suoni (o silenzi) che vengono, dall’esterno e quelli che vengono dal vano interno dell’edificio-chiesa, con le sue caratteristiche di cassa di risonanza nei vari settori[1].

Un secondo problema concerne la comunicazione sonora durante la celebrazione, nel delicato rapporto fra percezione del rumore e del suono: fra proclamazione e ascolto, fra equilibrio o squilibrio dei codici visivi e uditivi. In questo ambiente, tanti fattori concomitanti devono essere sin otticamente considerati proporzionati, in modo tale che ad ogni sequenza rituale corrisponda un corretto trattamento acustico.

L’uso universalmente invalso dell’amplificazione mediante microfono, specie quando manchi la consona taratura, può sovraccaricare «il nostro canale sensoriale uditivo, abbassando la soglia di attenzione dell’esperienza visiva e individuale della liturgia, così come dello spazio architettonico, isolando l’individuo in una bolla di suono»[2].

Non solo, ma rispetto al fenomeno della riverberazione del suono, si deve ricordare che esso «da un lato, può ostacolare la comunicazione verbale poiché, prolungando la presenza del suono… favorisce la sovrapposizione delle parole. Dall’altro, consente una maggiore armonizzazione delle voci con il suono degli strumenti»[3].

Da queste fondamentali esigenze scaturisce la necessità di una seria progettazione acustica delle chiese per garantire «sia le condizioni per una buona intelligibilità della parola (acustica meno riverberante) sia le condizioni più idonee per il canto, la musica e la preghiera» (acustica più riverberante).[4]

La determinazione delle condizioni acustiche, di un’aula liturgica sarà l’auspicato frutto di una fattiva interazione tra il committente ecclesiale, il progettista architettonico e il consulente tecnico.

Infine, l’assunzione dei principali sviluppi nel campo dell’amplificazione sonora dovrà essere fatta «nella duplice prospettiva della funzionalità pratica (qualità di diffusione del suono, riduzione dell’impatto visivo dei microfoni, dei riproduttori…) e all’efficacia simbolica (creazione di effetti stereofonici…)».




[1] A. CIMINI, La comunicazione sonora nella celebrazione liturgica. Manuale per celebranti,      ministri e animatori della liturgia, EDB, Bologna 2009, 13-15.

[2] M. Mc LUHAN “La liturgia e il microfono”, in La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione, Roma    2002, 128.

[3] E. CIRILLO, F. MARTELLOTTA, V. BERARDI, La progettazione acustica delle chiese, CEI, Roma 2014, 41-42.

[4] IVI, 41

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